Peter e la morte

Peter e la morte

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“Il mio raffreddore è andato via
„Dove?“
Le malattie in genere passano, ma dove vanno? Andranno dove vanno i suoni, e i colori? La morte mai. Quella viene soltanto. Lei viene, e chi se ne andrà siamo noi.

(Dagli appunti di Peter)

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Morì quando era venuto il momento a lui congeniale. Smise semplicemente di respirare. Amava osservare Irina e me, quando raccontavamo le nostre piccole avventure quotidiane. Quasi sempre le raccontavamo in italiano e quindi capiva solo il senso o nulla affatto, ma osservava divertito la nostra mimica, quella di Irina gli ricordava tanto Charlotte, diceva. Ora Gianni era andato in farmacia per prendere una bombola di ossigeno,  semmai fosse necessaria, e i due infermieri, padre e figlio, stavano aspettando insieme a me. Cominciai a raccontare delle allegre spaghettate nella Aretinstraße, quando andavo a Monaco. Intorno al tavolo c’era posto per 12 persone, cominciavo a telefonare, chi aveva tempo veniva, la voglia di spaghetti italiani non mancava mai, e sempre erano cene vivacissime. Peter aveva il respiro pesante, mi osservava quando ogni tanto alzava le palpebre, mi sentiva parlare. Mezz’ora prima, quando erano arrivati Bruno e Daniel, li aveva salutati sorridendo con un’alzata di mano.  Proseguì poi raccontando di un cliente che voleva creare un centro di delfinoterapia in Calabria, dove tuttavia non riusciva a fare nulla per il muro di gomma dei calabresi. E improvvisamente il silenzio, il respiro pesante …? Gli poggiai la mano sul cuore, alcuni battiti selvaggi e poi più nulla.

Arrivò il medico e anche il servizio delle pompe funebri con i soliti fronzoli kitsch italiani. La sera mi lamentai con Gianni per una certa superficialità da parte loro. Ed eccoli lì, il giorno dopo, ai bordi del prato con tutto il panorama dei monti dietro, un po imbarazzati per il rimprovero di Gianni, in attesa del permesso di chiudere la bara e portarla via. Dalla veranda giungevano ad intervalli grandi risate. I pronipoti di Peter, Adriano, non ancora due anni, e Pietro che camminava da pochi giorni, erano presi dai loro piccoli giochi di potere. Pietro aveva scoperto che poteva far arrabbiare Adriano togliendogli i giocattoli. Adriano reagiva con un urlo di pianto disperato suscitando a sua volta le risate degli adulti che osservavano mentre, nella stanza accanto, i nuovi arrivati dicevano addio a Peter nella bara ancora aperta.

Penso che si sia goduto la scena di tutto cuore.

Dopo la messa multietnica e multireligiosa nella piccola chiesa cattolica di Mandela per Peter lutherano, con un prete indio sudamericano dalla mani caldissime, e l’addio definitivo a Peter, si va tutti a mangiare nel convento di S. Cosimato. Gli italiani non perdono occasione per stare tutti insieme a mangiare con forchetta e coltello o anche solo con le mani, purché si stia in compagnia. Ma dopo un funerale? Quindi il pranzo inizialmente era un pochino meno allegro di un banchetto funebre tedesco. Ma poi i tanti bambini piccoli, pronipoti di Peter, i nostri nipoti e gli amici della nostre figlie con la loro prole con profumati pannolini ripieni distesero l’ambiente, tant’è che Giordano, quando la bella giornata di un’ottobrata romana nel chiostro di S. Cosimato stava finendo e ci si salutava, mi ringraziò per la bella giorn… e spaventato poi si mise la mano sulla bocca.

Sento Peter che se la ridacchia.

 “Non sono una pena”, dice la morte nella commedia “Eupa und Ro” di Peter.

Ho problemi di digestione e vado dalla mia omeopata, Antonita. E’ alquanto sorpresa, perché mi rivolta come un pedalino ma non trova proprio nulla che non va. “E che ti do?“ Riflette e poi: „Ecco: Ignatia.“

Compro Ignatia e ne prendo 2 globuli, come da prescrizione. E poi corro come una pazza facendo delle virate pazzesche di 190°. Mi sveglio nel bel mezzo della notte, alquanto sorpresa.

Due notti dopo batto i pugni sul tavolo e urlo: „Voglio l’acqua asciutta!!!“

Cerco su internet e trovo informazioni:

Il grande sintomo chiave caratteristico di Ignatia è la paradossalità, la contraddizione degli effetti. Ah!!

Altrove trovo: Quando un ignatia  annega nel fiume, il suo cadavere non va cercato a valle ma a monte, contro corrente.

Mi piace l’idea. Think different.

Cerco e trovo materiale da leggere su omeopatia e sogni. Mi trascina nella complicatissima e affascinante psicologia di Jung. Dopo mesi di letture sempre interrotte da interventi da nonna di promozione di ruttini, azioni calmanti con cuccio e cambi di pannolini con l’ultima nipotina riesco ad afferrare un pochino le intricate logiche. Nel libro una donna sogna di trovarsi con tutta la sua famiglia a bordo di una capsula in attesa di essere lanciati nello spazio. Io penso al progetto “Gemini” di tanti anni fa, l’omeopata si meraviglia della parola “capsula” e, nella sua logica, trova l’unico rimedio che viene ricavato da una capsula vegetale. Lo prescrive – dando vaste spiegazioni – alla paziente che ne riceve sollievo dalle sue sofferenze.

Di fronte a tale logica Peter avrebbe passato il suo braccio destro dietro la testa per mettere la stessa mano destra da sinistra sulla bocca – e poi tossirci dentro. Ma se il cadavere di un ignatia annegato va cercato controcorrente, siamo comunque fuori dalle norme e va bene così. Lasciamo vagare il pensiero in questo mondo inverso. Dopo qualche mese e altre letture di Marie Louise von Franz trovo cose ancora più strampalate: La morte, il fuoco, la ricchezza, il vuoto e il giorno sono archetipi che sanno contare.

Dopo tanto tempo sogno di Mani. Mi trovo in un luogo a me familiare nel sogno ai piedi di una collina, arrivano tanti bambini che sempre nel sogno conosco e stavo aspettando, ed insieme saliamo la collina per entrare in un ambiente chiuso. I bambini hanno vestiti invernali con cappellini di lana, ma gli alberi sono carichi di fogliame estivo. I bambini corrono, fanno chiasso e esplorano l’ambiente e alla fine giungiamo ad una porta un pochino nascosta dove bussiamo. Mani ci apre con un: “Eccovi, entrate!” Entrando si deve girare a sinistra, perché davanti alla porta c’è un muro bianco, come nelle case cinesi, perché i loro spiriti non sanno girare l’angolo e quindi non riescono ad entrare in casa. Cosa avranno trovato dietro quel muro i bambini entrati prima di me, io, nel sogno non l’ho più scoperto.

“Ho bisogno di coraggio per lavorare, se, di fronte al morire nella casa accanto, devo iniziare a scrivere una puntata dal titolo SALUTE.”

È l’inizio degli appunti di Peter per detta puntata di “Hallo Spencer”. 8 giorni dopo, Mani è morta.

Dunque: La morte, la ricchezza, il fuoco, il vuoto e il giorno sanno contare. La ricchezza? Certo, paperon de paperonis passa tutta la giornata a contare i soldi. E noi tutti contiamo i giorni, li raggruppiamo e li suddividiamo in mesi o miliardi di anni, e ore o nanosecondi. Cosa possano essere quest’ultimi non saprei, e quando Adriano mi presenta il suo ultimo nonsocomesichiamasauro di plastica dichiarando che ha vissuto trenta milioni di anni fa – TRENTA MILIONI, sottolinea e mi guarda con i suoi grandi occhi nella speranza che sua nonna possa dargli una spiegazione comprensibile per questa dimensione, devo deluderlo. Ma, per giove!, cosa – e come – conterà mai il fuoco? E il vuoto? Continuo la lettura: “Il fuoco e la ricchezza, ovviamente, sono dei simboli per l’energia psichica. E pensiamo anche alle antiche rappresentazioni della divinità della morte, p. es. nella religione greco-romana, dove tale divinità è Zeus o il Giove degli inferi. Il dio dell’infinità ed il tesoriere. Il regno dei morti è come un tesoro, e il dio della morte è il custode di questo tesoro incommensurabile, da cui sarà generata nuova vita e in cui i moribondi faranno ritorno.”

Che meraviglia! Questa si che è vita! Il regno dei morti un tesoro! Una cosa preziosa. La morte non è una pena, una punizione. E neanche una fine. Dal regno dei morti, dalla morte scaturisce  nuova vita.

La morte fa la conta: 

Uno, due, tre,
cerco il Papa e trovo il Re,
cerco il savio e trovo il matto,
cerco il cane e trovo il gatto,
cerco il gatto e trovo il topo,
tu vieni prima, e io dopo. 

Prima Mani, noi dopo. Her number was up.  Era il suo turno. Siamo impotenti, una morte con un senso inafferrabile per noi con la nostra povera e limitata mente umana.

“Quante cose non dette portano con sé i moribondi? Moriamo con tante cose non dette. Importante di fronte alla morte è che diciamo amore e ci venga detto amore.”

Dagli appunti di Peter per il suo Stadtroman.

Mani non c’è più. Inconcepibile, strappata dalla pienezza della sua vita. La morte lascia dolore, il dialogo interrotto e svanito nel nulla. Facciamo soliloqui dandoci anche le risposte alle nostre domande,  prive dell’irrinunciabile diversità dell’altro. La cui morte ci ha colpiti forte, ci ha dato una spinta, ha lasciato il vuoto, uno spazio che i vivi riempiranno. E conclude una vita terrena. Facciamo il punto.

Cosa ci lascia? Verena di 3 anni e Claudia di 5 mesi. Se le guardo oggi vedo due donne belle, adulte, nella pienezza della loro vita. Grazie ad Uschi. Estrapolarle dalla massa blob, dal grande incommensurabile tesoro di anime, la loro incarnazione è stato il compito di Marianna. Fatto.

Il suo desiderio più grande? Trovare l’uomo della sua vita. Lo ha cercato a lungo e con molto impegno. E lo ha trovato. Voleva essere amata da Ekke per tutta la sua vita. Desiderio esaudito. 

L’effetto della sua morte? 

Vent’anni dopo, a pochi giorni dall’anniversario, Ekke, nel pieno esercizio delle sue attività professionali crolla a terra. Burn-out. Ci metterà sei mesi a rigenerare energie sufficienti per affacciarsi alla nuova vita che lo sta aspettando: dopo tutti questi anni, Ekke si è riscattato, ha spezzato l’armatura, gli incredibili intrecci in cui lui, appena nato e libero, era stato costretto.

Soltanto lui potrebbe continuare a scrivere questa storia.

© Claudia Podehl