La neve e l’acqua di mare

Storie di Claudia

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La neve e l’acqua di mare

di

Claudia Podehl

“Più è brutto fuori, più ti senti sicuro dentro”, mi spiega il sardo. E il ristorantino a Porto Pino effettivamente è brutto fuori, e dentro mangi da dio, cucina sarda per pochi intimi, da gustare con le mani. E poi, un po’ più giù, dietro ai pini aleppo, la spiaggia, lunga, curva, bionda, con le dune mozzarumori che fanno parte del territorio NATO di Capo Teulada. Tempo fa’, a volte ci cacciavano via con l’elicottero, con i carri armati o con qualche uomo radar americano incantato del posto e un po’ imbarazzato. E l’acqua. Trasparente, adamantina d’aspetto, cedevole all’immersione frizzante, rifrange in sfavillanti bassi continui ed infiniti tintinnii i raggi solari. 

No, faccio fatica ad immedesimarmi nel concetto dei villaggi brutti in una natura del genere.

Mi piacciono i posti belli. 

Sarà un vizio di famiglia. Weimar, risparmiata dalle bombe alleate, non me la ricordo. Ero piccolina. Ma sono tornata per le loro nozze d’oro: dalla ristrutturazione dopo il crollo del muro stava riemergendo un gioiellino. Poi Potsdam, poco da mangiare nei primi anni cinquanta in Germania Est. Mia madre vendeva gli oggetti preziosi di casa nel settore americano di Berlino per comprare da mangiare. Ma accanto alla casa in mezzo alla sabbia brandenburghese coperta di erica, nel bosco fatto di faggi e betulle con sopra i pini ad ombrello, si raccoglievano porcini e pfifferlinge. E poi Monaco, una casetta da strega di Hänsel und Gretel, con un giardino curato quanto basta, un prato enorme di fronte al giardino, e via in bicicletta nel bosco da una parte, nella vallata dell’Isara, dall’altra.

Camminare sbilenchi nei cunicoli del cupolone per sbucare lì sopra, e voler abbracciare tutta la città eterna così come fanno le esedre del Bernini con la piazza. 

L’interminabile, fantasiosa bellezza delle facciate nei percorsi veneziani, scivolando sull’acqua o seguendo il tic tac del passo esperto e determinato della gente di Venezia.

L’Alta Baviera sotto 30 cm di neve fresca. Le vette delle Alpi da conquistare passo dopo passo, da ragazzina ancora un po’ controvoglia, per le vedute da dove ti senti imperatrice.

L’amore per il mediterraneo mi è stato impresso, sempre da ragazzina, nelle vacanze pasquali a La Mòrtola sulla costa ligure, il sorprendente giardino di Hanbury, allora ben curato, da leggere nei “Ribes” di  Nico Orengo.

I limoni veri e quelli dipinti nelle ceramiche della Costa Amalfitana, felice alleanza tra uomo e natura, con il chiassoso concerto di capodanno sulla scalinata del duomo di Amalfi, da non perdere.

Dormire nelle notti torride al ritmo adagio, pianissimo o trambustuoso delle onde nella torre “dei tedeschi” – come dicono in paese -, nel bel mezzo della lunga spiaggia tra Palinuro e Caprioli. Il cupolone del cielo stellato sopra la torre, sopra la spiaggia.

Fare la fila lunga per pagare, per i controlli rigidi, per gli ascensori. Ma poi, zoomare dall’alberello la’ giù, addobbato per Natale, fino alle punte dei miei piedi, sospesi per aria 400 metri più su. Il sardo rimane seduto immobile per mezz’ora ad osservare come, dopo il tramonto, si accendono una dopo l’altra le luci nelle calli e nei grattacieli. Qualche spruzzata di neve sui tetti. Fisso con tutti e tre gli occhi il ponte di Brooklyn fino al mare dietro Long Island. Le macchine nel reticolato, fermi ad un semaforo, ripartono. Un orologio immenso brilla di rosso neon sulla riva del Hudson River, la statua della libertà minuscola, le isole nel tramonto ardente, qua sotto le macchine si infilano nei tunnel per raggiungerle. Gli elicotteri degli uomini importanti che volano come vespe a destra e manca. Non c’è vento e possiamo salire al piano di sopra, all’aperto. Un gruppo di italiani si gira divertito al mio “mamma mia” di petto.

Da aggiungere alla mia ampia e preziosa collezione di posti belli. Con cento piani pieni di vita sotto ai nostri piedi.

© Claudia Podehl

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